GIROMETTI William
A Milano, sua città natale, trascorse l’infanzia e la prima giovinezza, e si avvicinò all’Accademia di Brera negli anni della seconda guerra mondiale. Terminata la guerra, viaggiò e soggiornò in altre città italiane; a Ferrara nel 1954 conobbe la donna che diversi anni più tardi sarebbe diventata sua moglie.
Sempre a Ferrara, in particolare a Pontelagoscuro, nei primi anni cinquanta entrò in contatto con un gruppo di giovani pittori, fra cui Tito Salomoni, con i quali instaurò un rapporto di profonda amicizia e che lo incoraggiarono a fare della pittura la propria professione.
Inizialmente, infatti, si era dedicato alla scultura, che non abbandonò del tutto fino alla fine degli anni sessanta, come dimostra una recensione del 1968 in cui il critico Fiorani apprezza la «sicura padronanza dei mezzi espressivi», l’«incisività dei volti», la «ritmica armoniosa» e il «perfetto equilibrio tra forma, luce e spazio»
Sul finire degli anni cinquanta trascorse un periodo di studio e lavoro in Francia, Svizzera, Austria, Germania, Danimarca e Svezia, per poi tornare in Italia dividendosi tra Milano e Ferrara. In particolare, a Milano espose più volte nelle rassegne della Permanente.
Negli anni sessanta iniziò la produzione, destinata a diventare copiosa, di composizioni, di trompe-l’œil e di ritratti, che gli venne per lo più commissionata da privati e mercanti d’arte; stabilitosi infine a Bologna con la moglie, nel 1971 iniziò a gettare le basi per il proprio percorso surrealistico, pur continuando a produrre opere più tradizionali su richiesta. Per ritrarre il suocero, scomparso prematuramente e quindi mai conosciuto di persona, si avvalse della foto di un medaglione delle dimensioni di pochi centimetri.
Nel 1973, con la mostra inaugurata il 24 novembre presso la galleria d’arte "Il Collezionista" di Bologna, iniziò a presentare opere di genere surrealista-metafisico in una serie di esposizioni in Italia e all’estero, sia personali che collettive, che gli fruttarono premi, riconoscimenti e recensioni su giornali, riviste, cataloghi specializzati, programmi radiofonici e televisivi italiani ed europei.
Le prime opere di genere surrealistico erano ispirate dalla realtà circostante, incentrate su temi filosofici ed ecologici, oppure dedicate a musicisti e letterati. Anche i ritratti acquisirono una chiave surreale.
La critica in generale fu concorde nel riconoscergli «eleganza compositiva», «sensibilità cromatica», «impeccabile tecnica» e «padronanza della forma», unite alla valenza contenutistica espressa attraverso l’«interessante fusione fra l’ironia e la polemica» che solo apparentemente sfocia nel pessimismo.
Alcune recensioni evidenziano sia l’efficace elaborazione degli insegnamenti di André Breton sia il richiamo a René Magritte, con cui in particolare ha in comune «l’inconsuetudine delle immagini» e «gli inganni visivi» sicuramente raggiunti anche attraverso la pratica al trompe-l’œil
Se come scultore aveva prediletto la creta, come pittore compose per la maggior parte quadri ad olio su tela o su tavola, affiancati da qualche pastello e rare tempere. Verso la fine degli anni settanta inventò una propria particolare tecnica di grafica della cui esecuzione rimase unico conoscitore.
Compose anche alcuni versi, e nel dépliant della mostra presso "Il Collezionista" venne pubblicata una sua poesia.
Negli ultimi anni si dedicò allo studio del vetro e sperimentò nuove realizzazioni estetiche di temi costanti; alla sua scomparsa nel 1998 un Nettuno surreale e altre due opere rimasero incompiute. Pochi mesi prima di morire venne gratificato da una retrospettiva a lui interamente dedicata, organizzata dall’Università e dal Comune di Bologna.
L’arte di Girometti
Nel 1976 il critico Otello Mario Martinelli introdusse un’intervista radiofonica sintetizzando il percorso artistico di William Girometti: «dai primi entusiasmi impressionistici, che risalgono al 1960, accondiscendendo alla sua naturale predisposizione per la figura umana, ha realizzato molti ritratti - anche utilizzando la scultura - mentre l’evoluzione interiore lo porta alla pittura della realtà con composizioni e trompe-l’oeil che interpreta con morbidezza di segno e armonia di colori. Nel 1971 si entusiasma per il surrealismo»
Sui rapporti di Girometti con il Surrealismo più di un critico sottolinea come l’adesione ad una corrente pittorica non abbia impedito all’artista di esprimersi in maniera originale, esternando il «contenuto del suo pensiero» e dando prova di una «personalità inconfondibile»: «un artista che ha identificato nel Surrealismo la più rispondente tra le forme espressive», dimostrandosi "«un validissimo prosecutore» di un movimento nato come «propugnatore di un sostanziale rinnovamento interiore, atto a migliorare la natura stessa di una società»
Il Surrealismo fu per lui la «lingua più congeniale ad esprimere osservazioni, pulsioni, riflessioni»: «una personalità e un discorso d’impegno che sostengono uno stile, anziché esserne sostenuti». In sostanza Girometti operò il «recupero del Surrealismo non ripreso passivamente, bensì sentito come forte stimolo grazie al quale la fantasia riesce a far valere i propri diritti».
Una «vasta cultura umanista» rappresenta l’elemento indispensabile per meglio realizzare se stesso senza mai cadere in compiaciuti intellettualismi e fornisce «spunti classici a nuove invenzioni semantiche del tratto»; insieme ad «un’evidente regola di moralità» costituisce inoltre la base per un «incessante lavoro di osservazione e di ricerca: le «tele sono il risultato della presa di possesso della coscienza, come dice lo stesso pittore», un uomo che «ha scavato tenacemente dentro se stesso alla ricerca dei propri mezzi e delle sue specifiche tendenze naturali»
Secondo Gian Mario Olivieri, per contro, «le allusioni letterarie nel campo figurativo, le relazioni intellettuali e le citazioni classiche, i colori vivi e sensibilizzati» accostano William Girometti al Realismo fantastico, insieme a quegli artisti che lavorano «ad un concetto ideale» e fanno «uso cosciente del proprio mezzo per realizzarlo»
Diversi critici hanno ipotizzato l’interpretazione di alcune opere in particolare, sempre sottolineandone la «non facile lettura» e la «profondità di indagine», e la categorizzazione dei temi trattati in generale: dai temi di «natura esistenziale e di lirica ispirazione», ai «temi di ordine sociale ed ecologico»
Nella grafica «il tema ispiratore della infanzia soprattutto, e della donna intesa come soggetto umano, è intrecciato a metafore»; si evidenziano da un lato la «raffinatezza di certi strumenti musicali dai cui squarci emergono con pudica discrezione enigmatiche figure infantili», dall’altro la «costante presenza del motivo del fanciullo assunto dall’artista a simboleggiare la speranza di un futuro migliore» attraverso la «continua rigenerazione biologica e sociale».
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