Enciclopedia d'Arte Italiana
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FILIPPI Paolo



Entrai nel mondo del lavoro tra i 17 e i 18 anni, nel 1964. E per la prima volta mi trovai di fronte alla realtà. Ora i disegni tecnici che avevo fatto a scuola con grande passione e divertimento, li dovevo applicare alle lamiere di ferro per farle divenire strutture reali, da toccare con mano, per poter poi dire con orgoglio: “Questo l’ho fatto io!”.
L’odore del ferro e degli olii emulsionati mi inebriavano e qualcosa dentro di me mi spingeva a guardare il ferro pensando a cosa ne potevo tirar fuori.
Posso dire che sono nato con la passione per il disegno: quando ero alle elementari amavo copiare le battaglie riprodotte sui libri di storia, e lo facevo fedelmente e velocemente, la matita volava sul foglio comandata dai miei pensieri. Non era solo il disegno figurativo a darmi quelle sensazioni, provavo la stessa cosa per il disegno tecnico. Strano, ma non sapevo bene cosa fosse questa carica che sentivo in me. Forse era la creatività che germogliava nel mio essere più profondo? Lavorando, giorno dopo giorno acquisivo sempre più esperienza nella lavorazione dei metalli, ma non riuscivo ancora a realizzare qualcosa che mi soddisfacesse.
Poi, un giorno, il fratello del mio datore di lavoro, professore all’ITI, mi spiegò che dovevo pensare al metallo come se fosse un maglione di lana: “Se tiri il maglione con le mani si allunga o si allarga a tuo piacimento, perché il filo intrecciato diviene elastico e tu puoi farlo. Vedi, la lamiera se la guardi solo con gli occhi è dura e indeformabile ma se la guardi con la mente essa prende la forma che tu vuoi; scaldala, plasmala ed essa diventerà quella che tu hai immaginato!”.
Non poteva farmi regalo più bello! Da quel momento ho cominciato a parlare con i metalli come se potessero capire i miei desideri: quando modellavo con la fiamma e il martello chiedevo al metallo di dirmi quando era il momento di battere ed esso mi rispondeva acquisendo il colore dell’incandescenza: “dai, batti” – sembrava dirmi – “sono pronto a plasmarmi come tu mi vuoi!”.
Agli inizi degli anni ‘70 mi iscrissi all’Accademia Trossi Umberti dove l’insegnante di pittura era il maestro Voltolino Fontani. Dopo aver fatto il mio primo disegno dal vero, il maestro mi fece passare direttamente alla pittura, anche se il corso di disegno sarebbe dovuto durare un anno. Fu così che terminò la mia avventura di allievo pittore! Il mio carattere ribelle non mi permetteva di accettare imposizioni: fu proprio il colore verde a farmi interrompere il corso; il mio verde era diverso e non potevo piegarmi a farlo uguale al verde del mio maestro, come lui voleva e come avevano fatto tutti gli allievi!
La pittura, come tutte le altre arti, è sentimento e nasce dal proprio io, non da quello di un’altra persona. Nel periodo in cui lavoravo alla Moto Fides, con gli scarti delle lavorazioni eseguivo piccole sculture rappresentanti i capi reparto; mettendo in rilievo i loro difetti più evidenti; ed essi erano riconoscibili anche se i materiali usati erano solo tubi, piastre, molle e via dicendo.
Tutto ciò però non mi soddisfaceva perché erano cose già viste, mentre io ero alla ricerca di qualcosa di diverso, di mio. Vedendo la mia opera si doveva poter dire: “È il Filippi”.
Non mi interessava il giudizio critico positivo o negativo, dato da critici riconosciuti o da quelli che si sentono come allenatori della nazionale di calcio ... guardando le partite in Tv.
La passione per l’arte in ogni sua forma viveva prepotente in me ed io sentivo di manifestarla in ogni suo aspetto: e cosi ho amato la poesia, la musica: ho dipinto ballando cantando e suonando. Ma la vera passione è stata ed è la scultura. Non mi sono mai prefissato di forgiare con le mie opere un messaggio pseudo intellettuale sui problemi della vita o della psiche: ho voluto realizzare in opera la cronaca di tutti i giorni, la vita della gente e delle cose comuni. Sono nati così: “Il Toro”, “La Pattinatrice”, “L’Orologio”, “Terzo Millennio”, “Il Rinoceronte”, “Le Scarpe”, “Il Cappotto”, “L’Armadillo” e la più grande “Libertà”, raffigurata da un uomo su una grossa moto Harley Davidson.
Tutte realizzate sfruttando la mia capacità di lavorare i metalli, piegando e forgiando lamiere d’acciaio inox o di bronzo. Tutte rigorosamente forgiate e mai fuse.
Quando mi domandano quanto tempo impiego a realizzare una scultura, quasi sempre rispondo: “Quarant’anni (ma di esperienza)”.
I vari critici che hanno scritto di me hanno sempre messo in evidenzia la “pazienza, la costanza” che secondo loro mi occorrono per realizzare le mie opere. Io invece penso che un anno o più di lavoro massacrante non è nulla in confronto all’eternità, solo una goccia d’acqua nel mare!
Contrariamente a tanti, il mio percorso è iniziato con l’informale ed è approdato all’iperrealismo. E così continuo il mio cammino: con la convinzione e la gioia profonda della certezza che queste opere resteranno dopo di me ed in esse io continuerò a vivere.


QUOTAZIONI *
Quotazioni riferite dall’artista
Da un minimo di euro 3500,00 per le opere in fusione di piccola fattura da me realizzate, fino ad un massimo da definire a seconda delle dimensioni della scultura stessa.
Per quanto riguarda le opere create a mano si và da un minimo di euro 10000,00 ad un massimo di euro 120000,00. I prezzi sono relativi alle opere da me realizzate sino ad oggi.

Web site: www.paolo-filippi.it


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Michael Jackson - Bronzo e acciaio inox - cm 180x78 - Kg. 85
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Aspettando Scamandro - Bronzo e acciaio inox - cm 153
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Dea del Mare - 1999 - Fusione a cera persa, riporto in acciaio inox - cm 53x18x18
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III Millennio - 2000 - Lamiera acciaio inox, bronzo, marmo nero del Belgio - cm 32x60x50
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Solitudine - 2003 - Lamiera al titanio - cm 48x18x18
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Vai - 1995 - Lamiera di bronzo, acciaio inox e ferro verniciato - cm 130x68x107
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L`Abbraccio - 2013 - Lamiera di acciaio inox e bronzo - cm 93
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I 3 Elementi - 2005 - Lamiera di acciaio inox e bronzo - cm 114x61x177
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IO
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Fastidio - Acciaio inox e bronzo - cm 71x53x63
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Pesce Foglia - Acciaio inox - cm 60x35x59

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